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lunedì 30 novembre 2009

Partenza da Cartagena!

Siamo partiti da un paio d’ore dalla baia di Cartagena, emozionati e felici di riprendere il mare per le ultime 200 miglia di questo lungo viaggio.

Navighiamo con poco vento al lasco e spingiamo anche un po’ col motore per creare vento apparente e stabilizzare la barca che tende a rollare per l’effetto di un mare decisamente sproporzionato, quando sentiamo una chiamata via radio.

Non capiamo bene di chi si tratta, ma chiamano una barca a vela in una posizione che, con qualche decimo di approssimazione, corrisponde alla nostra.

Rispondiamo.

Cerchiamo dapprima di capire di che cosa si tratta e se siamo effettivamente noi quelli che cercano di contattare.

Si scopre così che siamo su una rotta che incrocia quella di una nave che traina 10 chilometri di cavi che sta conducendo studi sismici e che dovremmo cambiare rotta per non passare sui cavi che emettono raggi pericolosi!!!

Uauuuu! Che storia fantascientifica!!!

In realtà abbiamo già visto quella nave ed è della stessa serie di una nave dell’ENI che ho visitato anni fa, specializzata in prospezioni acustiche di giacimenti petroliferi.

Effettivamente la nave emette una serie di esplosioni ad aria la cui eco viene ricevuta da un array di idrofoni lungo diversi chilometri.

Sono piuttosto contrariato. La rotta di sicurezza è 350° il che vuol dire esattamente con mare in prua, inoltre per far passare nave ed idrofoni ci vorrà più di un’ora, e questo ci mette stretti col timing che già non era dei più favorevoli.

Richiediamo rotta e velocità della nave per valutare un passaggio di prua ma niente da fare. Se anche spingessimo a 8 nodi non riusciremmo a passare in tempo. Non ci resta che manovrare.

Per fortuna il comandante della Western Trader, che deve essere un velista, ci dà rapidamente una serie di spezzate per ridurre il nostro tempo contro vento e per rimetterci in rotta il più rapidamente possibile. Perderemo comunque quasi un’ora però siamo contenti perché già dalla terza spezzata è salito un bel vento e possiamo metterci a vela.

Siamo al gran lasco e corriamo a 9 nodi su delle onde enormi che anche Pablo passa dei bei quarti d’ora ad ammirare attaccato alla rete di poppa. Quando una più grossa scuote la barca si volta e dice “onda, gande!” poi torna a guardare la scia di schiuma lasciata da Aquarius.

Per cena ci facciamo dei rigatoni al ragù, gli ultimi per diversi mesi. La luna è quasi piena ed illumina il mare di fronte a noi. Orione è giusto allo zenith ed è una strana sensazione sentire con quanta forza il Mar dei Caraibi spinge le onde negli ultimi metri della loro grande corsa… Perché siamo quasi a Panama e qui le onde devono loro malgrado fermarsi!











domenica 1 novembre 2009

Cartagena!!

Ultima tappa! Ci siamo svegliati presto per avere tutto il tempo di arrivare a Cartagena in giornata. C’è poco vento ma riusciamo ugualmente a fare 5 nodi a vela su un mare piatto che nulla ha a che vedere con quello che ci ha shakerato l’altra notte.

Mettiamo il mini tendalino per fare ombra sulla tuga di poppa. Pablo sguazza nella sua vaschetta ed io metto a mollo il calamaro per vedere se riesco a prendere un pesciolino per il mio bambino. Siamo tutti in relax sorvegliando la navigazione al computer quando, zzzzzzzzzzzzhhhhhiiiiiiiiii la lenza parte come un razzo. Un’occhiata allo scandaglio, siamo su una decina di metri. Ma cosa può essere a questa profondità? Rallentiamo l’andatura nascondendo il genoa dietro la randa e cominciamo a recuperare la lenza. Il pesce è grosso e tira verso il basso. Siamo obbligati a recuperare la lenza in due: io tiro su a mano ed Enrica recupera con il mulinello.

Ci vorrà più di 15 minuti per arrivare ad una decina di metri dalla poppa…e non abbiamo ancora visto di che pesce si tratta!

Enrica teme che sia un grosso barracuda, che a parte i denti, è anche un pesce che mangiamo poco volentieri quando è oltre i tre chili.

Io sono fiducioso. Dal comportamento non mi sembra un barracuda e continuo a tirare cercando di ammortizzare gli strattoni.

Finalmente il pesce viene a galla. E’ enorme! E non è un barracuda ma uno splendido carangide.

Un colpo di raffio ed in un attimo lo tiriamo su. E’ sempre un momento un po’ di tensione: il bestione che si dimena, l’amo che rischia di liberarsi e di catturare uno di noi, Pablo che vede il pesce e dice HHAAAMM! Insomma abbiamo il nostro bel daffare.

E’ un esemplare di Caranx Hippos da 5.5 kg che scopriamo essere reputato per la qualità delle sue carni rosse e compatte.

Nel giro di una mezz’ora il pesce è sfilettato e messo sottovuoto, tranne un bel pezzettone che viene proprio buono da fare a cena. Non possiamo fare a meno di ricordarci dei pesci non comprati a Calvì in Corsica l’estate del 2008 per la modica cifra di 50 euro al chilo. 50x5.5= 275 euro! Poffarbacco! Che ne dici Nello?

Speriamo sia un preludio alla pesca di San Blas.

Ci avviciniamo a Cartagena! Quante volte ci siamo immaginati questo momento.

I grattacieli sul mare ci accolgono come un pugno dopo tutti questi giorni di navigazione lungo la costa quasi deserta della Colombia pero' quest’aria quasi tipo Miami non ci dispiace.

E’ domenica e costeggiamo la spiaggia di Boca Grande piena di gente e colorata di ombrelloni. I ragazzini sugli Optimist, i motoscafi coperti di ragazze e di crema solare, ed il muro!

Si! Gli spagnoli costruirono un muro sottomarino ad un metro sotto la superficie per proteggere la città dai possibili attacchi condotti attraverso l’ingresso di Boca Grande.

Di recente, per permettere il passaggio alle piccole unità, è stato aperto un varco di una quindicina di metri che dovrebbe essere segnalato da due boe.

E’ perfetto perché questo ci evita il giro da Boca Chica con un risparmio di almeno due ore.

Di boa ce n’è solo una rossa. E’ bene tenere a mente che qui si usa il sistema americano detto RRR (Red Right Return) ed il rosso va lasciato a destra entrando.

Costeggiamo grattacieli e palazzi di lusso sul mare fino al canale d’accesso nella baia interna.

La Madonna del mare ci dà il benvenuto e le barche all’ancora ci indicano la zona di ancoraggio.

Pablo si guarda intorno con gli occhi grandi di curiosità. Noi non vediamo l’ora di andare all’incontro con la città più bella del sudamerica.

Aquarius getta l’ancora davanti allo yacht club dove si riposerà per qualche settimana.

Noi siamo soddisfatti, felici di aver portato a termine un viaggio importante e fieri di aver vissuto in tre quest’esperienza straordinaria.

























sabato 31 ottobre 2009

Una bella mattina!


Siamo rimasti al largo di Barranquilla, di fronte all’estuario del Rio Magdalena per tutta la notte.

Finalmente é giorno! I temporali col sole si stanno lentamente dissolvendo. La rotta verso Cartagena è ancora carica di lampi ma più sottocosta sembra in netto miglioramento.

Siamo molto stanchi ed abbiamo bisogno di dormire un po’...

Ad una quindicina di miglia c’è uno strano ancoraggio, Punta Hermosa che potrebbe andar bene per passarci la notte.

E’ uno strano ancoraggio perché le carte di una scala lo descrivono come un ridosso eccellente a forma di uncino, mentre cambiando in una scala di dettaglio si perde l’uncino e si trova solo una leggera protuberanza che offrirebbe un ben misero ridosso dalle onde del largo.

La zona ha fondali bassi e variabili, modificati continuamente dagli apporti del fiume, è disseminata di relitti e non promette nulla di buono. Procediamo cautamente confrontando la carta con i dati dell’ecoscandaglio avvicinandoci all’ancoraggio con rotta sud est.

Intravediamo una lingua di terra bassa ricoperta di qualche cespuglio. Non ci sono alberi di barche ad indicare la bontà dell’ormeggio e ci tocca farci strada da soli.

Proseguiamo e sembra che per una volta la carta buona sia proprio quella che indica il ridosso a forma di uncino.

Entriamo adagio e ci troviamo di fronte ad una grande baia ben protetta. Il lato nord è formato dal famoso uncino di terra bassa coperta di mangrovie al termine del quale inizia una grande spiaggia con evidenti strutture balneari ed il lato est, verso costa, sembra una collina svizzera ricoperta di un’erbetta verde curatissima con qualche bella villa qua e là.

Diamo fondo in tre metri d’acqua davanti alla spiaggia a sinistra della collina. Ci sono ancorate un paio di barche da pesca e sembra un posto tranquillo.

Finalmente! Ora un caffè, un pisolino ed un bel bagno per rimetterci in sesto per domattina.


venerdì 30 ottobre 2009

Rio Magdalena

Siamo un po’ delusi mentre armiamo il tangone per la prossima traversata “difficile”.

Non ci sono altri ormeggi sicuri lungo la costa e quindi dobbiamo superare il Rio Magdalena, che viene descritto come un passaggio pericoloso per lo sue onde ripide e per gli innumerevoli oggetti galleggianti portati in mare dal grande fiume.

Una teoria sostiene che si debba attraversare la zona dell’estuario passando almeno 5 miglia al largo mentre l’altra dice che di deve assolutamente passare sotto costa. Sicuramente dipende dalle condizioni del mare.

Le due concordano invece nel dire che il passaggio vada effettuato di giorno per aver modo di vedere i pericoli galleggianti per evitarli.

Da qui il nostro essere “fuori Timing”. Pensando di fermarci a Taganga siamo partiti tardi ed ovviamente passeremo il fiume di notte. Fantastico!

La navigazione è gradevole. Mare poco mosso, vento 15 nodi, cielo velato così non si scoppia di caldo, tutto va benone!

Di fatto stiamo attraversando un’enorme baia e quando rivedremo terra a sinistra della prua, allora saremo vicini al fiume.

Verso fine pomeriggio l’acqua comincia a cambiar di colore ed una corrente contraria di due nodi ci fa percepire la prossimità dal fiume ben prima di aver avvistato terra.

Nei giorni scorsi non ci sono state grosse piogge e probabilmente non ci saranno troppi tronchi galleggianti a minacciare la nostra navigazione.

Cala il sole mentre siamo a poche miglia da Barranquilla: la città sorge sul fianco del fiume che é navigabile per 1600 chilometri ed ha un porto commerciale molto attivo. Così ci mettiamo anche il traffico navale a complicare la cosa. Navighiamo in un mare corto e ripido al gran lasco quando, proprio dietro di noi, comincia a strutturarsi una linea temporalesca scura e tuonante che si avvicina a vista d’occhio.

Ne seguiamo l’evoluzione al radar e non si presenta per niente bene.

3 Miglia, 2 miglia, 1 miglio all’impatto…manovriamo!

Difficile sapere cosa c’è sotto una linea temporalesca, vento a raffiche, pioggia, fulmini…roba brutta che meno dura meglio è.

Chiudiamo il genoa e mettiamo motore per manovrare contro la linea cercando di attraversarla nel suo punto più stretto.

Risaliamo contro vento con randa e motore e sommando la nostra velocità a quella della linea ne dovremmo uscire in una decina di minuti.

Sembra un’eternità! La barca sbanda sotto le raffiche violente mentre tutt’intorno un circo di lampi illumina il cielo. Sarebbe anche bello se non fosse così terrificante.

Lasciamo passare il temporale e ci rimettiamo in rotta dietro la linea. Pensiamo di essere tranquilli, ma nel giro di poco altre due linee temporalesche si uniscono alla prima provenienti da due direzioni diverse…Sarà mica un meeting di temporali?

Insomma, per farla breve questa robaccia si chiude a ferro di cavallo davanti a noi senza accennare a spostarsi e regalandoci uno degli spettacoli pirotecnici più grandiosi che abbiamo mai visto.

La distanza tra noi ed i temporali diminuisce man mano che avanziamo, segno che sono stazionari.

Non ci sono mai piaciuti i temporali e non ce la sentiamo di attraversarli.

Dirottiamo di nuovo contro il vento e contro il mare che nel frattempo si è ulteriormente ingrossato, con l’idea di attendere fino al via libera del cielo.

Motore a 1000 giri e randa bordata al centro, cercando di non avvicinarci troppo al fiume per non trovarci nella rotta delle navi in manovra e cercando di non scadere né troppo al largo né troppo sottovento per non entrare nell’arco temporalesco che ci circonda.

Credo che questa nottata ce la ricorderemo per un pezzo e che la Coast Guard potrà aspettare a lungo prima che si rifaccia zelo radiofonico.

Troppo buoni…troppo c…….!

Partiamo verso le nove con l’idea di passare il capo e raggiungere la baia di Taganga, un ancoraggio vivace con diversi bar, musica e birra fresca.

Navighiamo in poppa piena con mare calmo che è una meraviglia.

Dobbiamo passare un’isola che ha una lingua di bassi fondali che sporge verso Nordovest per oltre un miglio e che obbliga ad un lungo giro.

Attratti dalla bellezza del paesaggio e rassicurati dalle guide che danno un passaggio sicuro verso terra proviamo ad avvicinarci per vedere se ci si può arrischiare.

Chiudiamo il genova e procediamo a motore. Il passaggio a terra è bellissimo ma ci sono delle secche sul lato sinistro e diverse barche da pesca nel lato più profondo.

Avvicinandoci adagio vediamo un pescatore che ci fa segno di passare a prua della sua barca. La corrente è forte, ne vediamo i vortici intorno agli scogli. Passiamo su un fondale di 5 metri salutati cordialmente dai pescatori che temevamo di disturbare e invece ci accolgono con simpatia.

Avremmo voglia di fermarci ma l’ormeggio possibile è su un fondale roccioso e profondo. Meglio continuare.

Ci stiamo avvicinando alla città di Santa Marta dove c’è una sede della Coast Guard che chiamiamo per informarli della nostra presenza e per comunicargli l’intenzione di passare la notte a Taganga

Comunicare la propria presenza è un gesto al tempo stesso di sicurezza e di cortesia e ci aspettiamo un “No hai problema senor, bienvenido!”, come siamo abituati.

Invece ci dicono che non siamo autorizzati a trascorrere la notte nella baia e che vogliamo fermarci dobbiamo entrare a Santa Marta, contattare un’agenzia marittima e fare i documenti d’entrata.

Ennesima botta di burocrazia del costo di mezza giornata più un centinaio di dollari.

Ci mordiamo le mani per aver chiamato. Siamo stati troppo buoni!

Comunichiamo che stando così le cose proseguiamo diretti per Cartagena ed allora ci augurano buon viaggio e ci ringraziano per il contatto.

Si ma intanto ci tocca proseguire fuori timing. Tiriamo qualche moccolo a quello che ha scritto che la Coast Guard in Colombia è molto disponibile con gli yacht, che sono sempre a cercar di rendere servizio e che una volta informati della presenza della barca nelle acque territoriali si ha diritto a stare fino ad un mese navigando con la bandiera Q a riva ed a sostare ovunque si voglia.

NON E’ VERO!!!






giovedì 29 ottobre 2009

Bahia Guayraca

Questa mattina ci siamo armati di scarpe, machete e repellente antizanzare ed insieme ad un gruppo di amici siamo andati a fare un giro nel bosco dietro alla baia in cui sussistono delle rovine precolombiane degli indiani autoctoni.

Accompagnati da Rinaldo, una guida locale che abita in una casetta sulla spiaggia, partiamo in spedizione. Siamo sul lato costiero del parco naturale di Tayrona, una distesa enorme di foreste e montagne popolata da scimmie nane, tigrilli, pappagalli, iguana ed altri animaletti esotici.

Ci addentriamo attraverso un sentiero che assomiglia un poco a quello dei nostri boschi di collina e cominciamo a capire che qui viveva un’importante comunità india che aveva un culto della morte alquanto particolare.

I morti venivano seppelliti adagiandoli su una sorta di piano inclinato in prossimità di un albero e ricoperti di terra. Durante la cerimonia funebre venivano, a seconda del loro ceto sociale, accompagnati da cibo, frutta e gioielli. Va ricordato che qui siamo nella zona del “El Dorado” e dei cercatori d’oro e fin dai tempi gli indios avevano sviluppato una grande abilità orafa.

Così venivano realizzati vari ornamenti con forme di animale e simboli sacri utilizzati in vita e rimessi al defunto durante la cerimonia.

Qualche anno più tardi i defunti venivano riesumati ed i resti raccolti in un’urna funeraria che veniva sepolta nei dintorni della casa.

L’urna conteneva gli ori e gli oggetti cari della persona.

E’ così che scopriamo che Rinaldo è quello che da noi viene definito un “Tombarolo” e che da decenni effettua scavi alla ricerca dei tesori precolombiani.

Siamo inorriditi! Ci immaginiamo questo suolo sacro e vediamo la crudeltà di queste centinaia di scavi, ferite nella terra e nel rispetto di quelle persone, con il solo scopo di estrarre l’oro, spesso con l’obbiettivo di fonderlo per cancellarne le tracce.

Troviamo resti di mortai in pietra per la macinatura dei grani, troviamo resti di urne, a volte decorate con dei colori oppure incise in tanti simboli. Tutto è stato distrutto, devastato, l’urna veniva generalmente rotta per estrarre i resti che venivano buttati in una fossa fatta per l’occasione. Rinaldo ci mostra con fierezza i luoghi dove aveva trovato le urne più grosse, le collane più belle, l’ocarina di terracotta. Pochissimi pezzi sono custoditi nei musei mentre la maggior parte sono nelle ville di qualche ricco colombiano a Bogotà o negli Stati Uniti.

Il caldo, la delusione per l’avidità dell’animo umano, la devastazione che ci circonda ci pesano come un macigno. Per fortuna, un po’ facendo leva su Pablo che ha fame, riusciamo a porre fine a questa inconcludente visita del nulla e tornarcene sulla spiaggia.

Qui troviamo una canoa di legno costruita con tecniche arcaiche: le ordinate sono fatte di rami la cui curvatura è stata scelta con attenzione per sposare le linee dello scafo. Probabilmente resterà tra i ricordi più costruttivi di questa mattinata.

Rientrando a bordo veniamo ricevuti dai guardaparco che sostengono che sia appena stato approvato un provvedimento che vieta l’ancoraggio in tutte le baie del capo.

Ci sembra assurdo visto che si tratta dell’ormeggio più sicuro della zona. Parliamo della possibilità di mettere delle boe per preservare il fondale senza precludere alle barche la possibilità di fermarsi, ma per ora non c’è nulla di fatto e resta l’applicazione del provvedimento, quindi: dobbiamo andarcene!

Ci danno tempo fino a domattina: godiamoci queste ultime ore nella baia e prepariamoci a muovere.

























martedì 27 ottobre 2009

Notte di emozione

E’ improbabile riuscire a dare un’idea dell’emozione di questa notte. Siamo qui, tutti e tre. Pablo dorme sottocoperta, assolutamente a suo agio in mezzo a questo mare bianco di schiuma. Aquarius galoppa sulle onde alzando un baffo di prua che esplode in mille spruzzi che si illuminano di rosso e di verde al passare nel fascio delle luci di via.
Le stelle brillano forte come accade solo nelle notti di vento teso. Stacco il pilota e mi metto un poco al timone per sentire fino in fondo l’energia di cui siamo parte.
C’è una perfetta armonia tra la barca ed il mare e grazie ad Aquarius anche noi ci sentiamo al nostro posto in quest’ambiente ostile in cui un uomo senza la sua barca resisterebbe solo pochi minuti.
Abbiamo iniziato a rallentare calibrando la velocità per arrivare con la luce e sono fiero del timing perfetto quando… Enrica esce e mi dice “è troppo presto!”
Ma come? Guarda bene siamo precisi al minuto!
Ma no, sono le tre e ci mancano due ore per arrivare. Farà ancora buio!
Tranquilla, hai visto male sono le quattro. Entreremo col sole!
Attimo di panico. Abbiamo cambiato l’ora entrando in Colombia…ma non sul gps su cui sto facendo la navigazione.
Siamo troppo veloci!
Ammainiamo tutto ed issiamo solo la trinchetta. Dobbiamo frenare al massimo per evitare di avvicinarci a terra col buio e, come se non bastasse il cielo è coperto ed il sole non si farà vedere tanto presto.
Avanziamo comunque a cinque nodi facendo qualche bordo per allungare la strada. Siamo ormai a meno di due miglia dalla baia quando comincia ad albeggiare. Il paesaggio è strepitoso. Scogliere rocciose coperte di vegetazione appaiono attraverso una nebbiolina mattutina che rende tutto un po’ ovattato. Sopra di noi ci sono le Ande a 5000 metri di altezza. Sappiamo che le cime sono innevate ma purtroppo non le vediamo. Entriamo nella baia sotto forti willywaw, raffiche catabatiche dovute all’aria gelida che scende dalle montagne.
La baia Guayraca è verdissima e profonda, l’acqua riflette il colore della vegetazione, qualche costruzione di lusso s’inerpica sulla sponda ovest e tutto in fondo un gruppo di una decina di case modeste lungo la spiaggia grigia.
Diamo fondo in sette metri d’acqua e mettiamo su il caffè.
Per un po’ restiamo incantati davanti a questo posto in cui si respira un’aria d’altri tempi e lo immaginiamo con i galeoni ormeggiati esattamente dove siamo noi. Che dire?
Siamo felici di essere qui e curiosi di scoprire ancora una volta dove siamo arrivati.




















lunedì 26 ottobre 2009

Verso il Capo Horn…dei Caraibi!

Abbiamo trascorso la giornata di ieri a bordo a fare qualche lavoretto per prepararci ad affrontare il tratto più duro della nostra navigazione fino a Cartagena: il Capo delle Cinque Baie!
Un gioco di correnti unito alla tipica accelerazione del vento attorno ai capi, il fondale che risale bruscamente da 2000 metri fino a 300, il tutto amplificato dalla vicinanza della Cordigliera delle Ande, crea un cocktail deflagrante che vale a questa zona la reputazione di essere uno cinque passaggi più difficili al mondo.
120 miglia ci separano dalle Cinque Baie. Partiamo verso le 11 del mattino con un bel vento da est 20 nodi e cielo terso. La costa colombiana scorre veloce sulla nostra sinistra ma la nostra rotta diretta sul capo ci porta rapidamente fuori vista. Siamo in poppa piena. Ormai ci abbiamo preso l’abitudine e devo dire che con il nuovo tangoncino gestiamo la manovra in tutta serenità.
Le previsioni danno, come al solito in questa zona, una bolla di accelerazione di vento e mare e ben presto ci troviamo nel mezzo di onde frangenti con 30 nodi stabili.
Quando l’onda colpisce la poppa di Aquarius precisamente a 180°, la barca si solleva dolcemente per poi ridiscendere nel cavo dando solo una leggera accelerazione al passaggio sulla cresta. Qualche onda ci prende più al giardinetto facendo inclinare la barca e spingendola all’orza. A questo punto l’accelerazione risulta più potente ed inizia una planata in cui l’onda e la pala del timone fanno braccio di ferro e dove l’assetto delle vele determina la capacità di evitare una straorzata.
E’ una meraviglia vedere tutti questi elementi suonare la stessa melodia silenziosa in perfetta sincronia sotto l’attenta direzione del pilota automatico.
Navighiamo ormai da un paio d’ore ad una media di 9 nodi. La canna da pesca è a riposo! Un grosso pesce a questa velocità strapperebbe tutto. Abbiamo le due rande con una mano bordate una a dritta e l’altra a sinistra ed il genova tangonato a sinistra. La nostra velocità di reazione in questa andatura è di almeno un paio di minuti quindi niente pesci.
Verso sera passiamo al largo di Riohacha dove le carte riportano la presenza di una piattaforma petrolifera. La nostra rotta passa un paio di miglia a nord e dovremmo essere tranquilli.
A un certo punto vediamo la piattaforma dritta di prua. Non dovrebbe essere là! Guardiamo col binocolo e scopriamo due piattaforme, quindi una non segnalata.
E’ parecchio scomodo. Dobbiamo accostare di una decina di gradi per allontanarci e dovremmo strambare di randa per metterci al gran lasco. Decidiamo di metterci al limite di sgonfiamento della randa per manovrare in fretta. Tutto procede bene finchè un’onda più grande delle altre ci colpisce spingendo la poppa verso sinistra. La randa di trinchetto si mette a collo per un istante poi parte a tutta velocità verso l’altro bordo. UUUrrrrcaaa!! Che botta!
Si è spaccato il bozzello della ritenuta del boma, ma sembra essere l’unico danno. Passiamo la piattaforma al tramonto e ne vediamo tutte le luci accendersi via via. E’ incredibile pensare che un centinaio di persone vivano e lavorino qui, in mezzo al mare. Ora molti staranno guardando questa barca a vela che fila verso il sole.